lunedì 22 giugno 2015

UCRIESI E CEMENTO, UNA LUNGA STORIA D’AMORE - Salvatore Lo Presti –

UCRIESI E CEMENTO, UNA LUNGA STORIA D’AMORE
- Salvatore Lo Presti –

Scrivo questo pezzo, perfettamente cosciente che determinate persone non lo condivideranno, o, nel migliore/peggiore... Lo scrivo perché da qualche tempo si è andato accrescendo in me un profondo sentimento di sdegno nei confronti di quello che si è fatto e che si sta continuando a fare nel nostro Centro Storico, in barba a qualsivoglia senso di giustizia e di bellezza, e con il beneplacito di tutte le varie Personalità Giuridiche presenti nelle diverse fasi storiche nel nostro territorio. Un Centro Storico che dovrebbe avere, per la sua storia, sembianze medievali, invece, sta sempre di più diventando un concentrato di isolati senza nessuna identità.
In molti punti l’unica cosa che mi fa dire che siamo all’interno del Centro Storico è la Zonizzazione del PRG e nient’altro, vista la continua presenza del cemento come materiale utilizzato nei diversi lavori edili che si sono svolti negli ultimi 50-60 anni. Cemento che viene utilizzato così in tanti modi, che non mi sorprenderebbe sapere che gli autori di questi lavori la mattina ci facciano colazione o il pomeriggio merenda, al posto del cappuccino e dello yogurt.
Prima di elencare ciò che si è fatto, ma che non si doveva fare, voglio chiarire e spiegare alcuni aspetti su cosa per me (e non solo per me) rappresenti il Centro Storico e un minimo di informazione sul materiale prediletto dei muratori ucriesi, ovvero il cemento nelle sue diverse forme.
Dal punto di vista normativo, all’interno del P.R.G., il Centro Storico (secondo il D.M. n. 1444/68) è individuato  nella Zona Territoriale Omogenea di tipo A che viene definita come: “le parti di territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi, comprese le aree circostanti che possono considerarsi parte integrante, per tali caratteristiche, degli agglomerati stessi”.
Due definizioni di Centro Storico che racchiudono in esse molto di quello che io penso sui centri storici sono:
-          “Il Centro Storico è quella parte di agglomerato urbano inteso quale forma e contenuto di un luogo caratterizzato da una spiccata identità
-          “Il Centro Storico è un LUOGO ABITATO le cui caratteristiche sono segnate dal fatto di distinguersi dal resto dell’agglomerato urbano per avere caratteri di individualità storica tali da rappresentare un unicum, esemplare cioè di una particolarità che esprime una valenza culturale”
Passo adesso a elencare alcune informazioni sul cemento, sulle sue proprietà e sulle sue modalità di utilizzo tipico.
Partiamo dal presupposto che per cemento si intende quel particolare legante idraulico che miscelato ad altri additivi, aggregati e/o inerti varia le sue caratteristiche fisico-meccaniche in base all’utilizzo per il quale deve essere utilizzato. In maniera sintetica, dal cemento si ottiene:
-          la pasta cementizia (o boiacca) che si ottiene con la sola idratazione del cemento;
-          la malta di cemento che si ottiene quando alla pasta cementizia viene miscelato un aggregato fine (generalmente sabbia);
-          il calcestruzzo, che si ottiene aggiungendo alla malta di cemento aggregati e inerti di diverse dimensione (ghiaietto, ghiaia).
Dal punto di vista chimico, il cemento (Cemento Portland) è costituito principalmente da quattro componenti fondamentali, che sono: Silicato tricalcico (3CaO SiO2), Silicato bicalcico (2CaO SiO2), Alluminato tricalcico (3CaO Al2O3) e Allumino ferrite tetracalcica (4CaO Al2O3 Fe2O3). Queste componenti vengono dosati opportunamente per produrre i diversi tipi di cemento.
L’utilizzo principale che però oggi se ne fa è quello inerente al calcestruzzo, per formare il Calcestruzzo Armato (dai più chiamato erroneamente, anche in molti libri, Cemento Armato), che venne brevettato dall’ingegnere francese Francois Hennebique nel 1892.
In generale ci sono cinque tipi di cemento:
-          Il tipo I è quello normale per uso generale;
-          Il tipo II è un cemento utilizzato dove si prevede un moderato attacco da solfati (come ad esempio nelle strutture di drenaggio);
-          Il tipo III è un cemento a rapito indurimento che  sviluppa precocemente una elevata resistenza meccanica (utilizzato nel caso una struttura debba essere messa in esercizio velocemente e quindi i casseri devono essere rimossi velocemente);
-          Il tipo IV è un cemento a basso calore di idratazione (utilizzato ad esempio nelle costruzioni di dighe dove il calore di idratazione del cemento è un fattore critico);
-          Il tipo V è un cemento resistente ai solfati (presenti dove c’è uno smog elevato, o in contesti marittimi).
Dopo aver definito cosa per me rappresentano i centri storici e alcune proprietà sull’amato materiale dei muratori ucriesi, passo a esporre la mia tesi sul perché l’utilizzo di questo fantastico (perché di se e per se il materiale non ha niente che non vada, anzi è stata un’innovazione veramente straordinaria) materiale sia dannoso in contesti storici e sul perché ciò invece sia avvenuto e ancora avvenga, e farò alcuni esempi di come ciò è stato fatto all’interno del nostro centro storico, criticando questi interventi, spero in maniera chiara.
Dal punto di vista strutturale dell’edificio, mi è capitato di vedere nel nostro paese (ma ovviamente non solo, è pratica assai diffusa) alcune sopraelevazioni ovviamente realizzate con struttura in calcestruzzo armato, bene, questa tipologia di intervento, seppure largamente diffusa, non tiene conto di un oggettivo danno che si potrebbe creare alla parte sottostante in muratura portante, poiché quest’ultima basa la sua efficacia meccanica, il suo comportamento sul fatto di avere un funzionamento di tipo statico, infatti il loro comportamento si basa sull’ottima resistenza che le murature hanno allo sforzo di compressione (le strutture in muratura hanno una resistenza a trazione veramente bassa), mentre le strutture in calcestruzzo armato sono strutture che, avendo al loro interno dell’acciaio, oltre ad avere anch’esse un’ottima resistenza a compressione hanno anche una capacità maggiore di resistere a sforzi di trazione. Il problema lo si ha o lo si potrebbe avere in presenza di sismi, poiché, il comportamento dissonante delle 2 tipologie di strutture, rigido per la struttura in muratura ed elastico per quella in calcestruzzo armato potrebbe creare delle lesioni e quindi dei danni alla prima poiché nei punti di connessione tra le 2 strutture si vengono a creare degli stati tensionali che la muratura potrebbe non essere in grado di assorbire.
Un altro utilizzo che viene fatto spesso nel nostro centro storico è quello di utilizzare il cemento per interventi di consolidamento o di rifacimento dell’intonaco delle facciate. E’ risaputo che le malte cementizie sono le malte che maggiormente vengono sconsigliate in caso di rifacimento di intonaci o consolidamento di facciate, poiché creano una barriera poco traspirante, cosa invece molto importante per il benessere abitativo degli immobili (ma forse ad Ucria questi muratori oltre ad amare particolarmente il cemento molto probabilmente non sanno nemmeno che esistono altri leganti diversi dal cemento, e quindi anche diversi intonaci e consolidanti).
L’ultimo aspetto di cui voglio parlare (ma non ultimo come importanza, anzi per la mia personalissima opinione, questo aspetto in un contesto storico è il più importante), è quello relativo all’istanza estetico-storica. Infatti, nonostante i problemi che ho illustrato sin’ora possano essere evitati da un’attenta progettazione degli interventi da parte di un tecnico (cosa che quasi mai viene fatta, la maggior parte degli interventi vengono quasi sempre fatti dalla geniale mano dei nostri amici muratori, gli amanti del calcestruzzo armato insomma), l’inserimento e l’utilizzo del cemento all’interno del nostro centro storico (ma più in generale in quasi tutti i centri storici d’Italia) crea maggiormente danno poiché distrugge e stravolge quella che è l’identità del nostro centro storico. Identità che si è andata formando nel corso dei secoli e che i nostri amici muratori, (in alcuni casi con l’aiuto di qualche amico progettista anch’esso amante delle strutture in calcestruzzo armato) con l’utilizzo di questo materiale hanno distrutto e stanno continuando a distruggere giorno per giorno, infatti secondo la mia personale opinione, e visto e considerato quello che c’era in confronto di quello che è rimasto ad Ucria, da ora in poi una politica nel centro storico che preveda una conservazione di quello che è rimasto non è più sufficiente, secondo la mia personalissima opinione, quello che bisognerebbe fare oggi per il futuro è quello di intervenire ricostruendo le parti di centro storico che sono state modificate, attuando dove possibile attraverso fonti documentate la ricostruzione com’era dov’era e, dove ciò non è possibile, per mancanza di prove attuare interventi di restauro stilistico per riportare il nostro paese quantomeno ad una condizione dignitosa.
Voglio finire questo mio articolo con una frase presa da un libro che ho letto con piacere e con una serie di immagini che spero possano aprire la mente a coloro che non hanno mai pensato a quanto da me trattato, e, che qualche nostro amico muratore amante del cemento, leggendo questo mio articolo possa rimanere turbato e avere qualche senso di colpa almeno quando fa colazione e/o merenda.

“In un inflessibile paesaggio la terra non è perdonata, il cemento invece si estende come una piaga.
Al Gattopardo si sostituisce un nuovo ruggito di macchine che preparano il materiale per il crimine del paesaggio. La forma della Sicilia è ora modellata in cemento. In una mappa di immagini le forme sono fissate e ordine è dato al flusso di caos, in ogni dove la terra reca il peso dell'impatto dell'uomo ed essa è schiacciata sotto questa forza.
La mappa è uno specchio, mostrando alla Sicilia un volto che non può più vedere attraverso occhi cementificati”.
Sam Laughlin








PENSIERI SULL’AMICIZIA - Francesca Murabito –

PENSIERI SULL’AMICIZIA
- Francesca Murabito –

“Amicizia: Abusata nella parola, evoca i sogni più belli di vita solo quando la si è sperimentata. È scambio di ciò che si è, comunicazione di bene.

Coraggio e speranza nei momenti tristi. È gioia quando il sole inonda la terra e ne senti il calore e puoi osservare i suoi riflessi sul tuo cammino, sentimento lieve e intenso che appare al tuo orizzonte, quando non sai, diventa compagnia duratura nella solitudine esistenziale del tuo essere”.

“L’Amicizia è come l’amore richiede molto slancio e molto controllo, molti scambi di parole e moltissimi silenzi. È soprattutto, molto rispetto” .

“L’Amicizia: un continuo scambio e contro cambio di doni spirituali e materiali. Quando si tratta di persone generose, colui che dà prova una gioia più grande di colui che riceve.”

“Non c’è amore più grande di colui che dà la vita per i propri Amici”.

“Nell’Amico si devono provare quattro cose: la fedeltà, l’intenzione, il criterio e la pazienza.
Per sempre ama chi è Amico anche se è rimproverato, anche se è offeso, anche se è messo sul fuoco sempre ama.”

“Un Amico fedele è un balsamo nella vita, è la più sicura protezione. Potrai raccogliere tesori d’ogni genere ma nulla vale quanto un Amico sincero. Al solo vederlo, l’Amico suscita nel cuore una gioia che si diffonde in tutto l’essere. Con lui si vive un unione profonda che dona all’anima gioia inesprimibile.


Il suo ricordo ridesta la nostra mente e la libera da molte preoccupazioni. Queste parole hanno senso solo per chi ha un vero Amico, per chi, pur incontrandolo tutti i giorni, non ne avrebbe mai abbastanza.”


CHIACCHIERANDO DI MALATTIE E NON SOLO………………GLI ANGELI INVISIBILI - Antonella Algeri -

CHIACCHIERANDO DI MALATTIE E NON SOLO………………GLI ANGELI INVISIBILI
- Antonella Algeri -
Quando lo scorso anno l’Ing. Maria Scalisi mi ha chiesto se ero disponibile a scrivere qualche mia considerazione su un argomento a scelta, ho subito pensato di ricordare il recente(allora) gemellaggio Ucria-Gozzano, convinta che quello sarebbe stato il mio primo ed ultimo tentativo di scrittura o meglio di far rivivere delle emozioni cercando di esplicitarle liberamente, partendo dal mio personale vissuto esperenziale. Ad una successiva richiesta ho risposto parlando dell’acromegalia, patologia rara  a me purtroppo nota e quindi incanalandomi, più o meno coscientemente, in questo percorso di malattia senza alcuna conoscenza specifica ma animata unicamente, me ne rendo conto solo ora, dalla mia predisposizione a supportare il “bisogno” in generale, e chi è più fragile, più bisognoso, della persona ammalata?
Ma la motivazione principale che mi ha spinta a trattare tali argomenti è stata la voglia di scardinare i tanti pregiudizi e lo stigma che circondano le malattie mentali, anche se sono cosciente che, come diceva Albert Einstein  “E' più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”, ciò nondimeno continuerò a combattere questa mia personale battaglia su tutti i fronti, convinta come sono che non ci si deve vergognare di essere ammalati, la malattia non è una colpa, non ci si ammala perché si è deboli o inetti, non si sceglie di ammalarsi.
Tutto ciò premesso mi piace condividere con chi legge quanto ha scritto una giornalista malata rara:
“La disabilità, la malattia, non rendono migliori, anzi, sono una grande prova e prevedono un continuo adattamento alla realtà. Se in queste storie ci sono eroi, sono i familiari che portano un grande peso per scelta, perché tanti scappano…”.

 Riflessioni di una malata rara
“Se nelle Malattie Rare e non,  ci sono eroi, sono i papà e le mamme che accudiscono con amore e sacrifici continui il loro bambino, o le persone che si dedicano anima e corpo al loro congiunto.” Così scrive la giornalista Gabriella Fogli in un bellissimo articolo pubblicato su Superando, che riproponiamo in questa sede.
Sono una Malata Rara, anzi ho diverse Patologie Rare, insieme ad altre indotte dai farmaci per alleviare i sintomi delle prime, e potete definirmi come volete, ma mai come un’eroina! Gli eroi sono altro, gli eroi scelgono di correre un rischio a costo della loro vita per salvarne altre, ma nessuno di noi ha scelto di essere malato, nessuno lo sceglie. Te lo trovi addosso all’improvviso, se non addirittura alla nascita, e vivere con una Malattia Rara è un percorso di sofferenza, di dolore, di silenzio.
Si. Silenzio. Perché quando dico che ho la tiroidite di Hashimoto, la sindrome di Sjögren e la fibromialgia, oltre a tutto il resto, mi guardano e non sanno cosa sto dicendo, si trovano in difficoltà e tagliano corto cambiando discorso. E quindi, non potendo fargliene una colpa, dico che ho un’insufficienza respiratoria e il diabete… almeno ne hanno sentito parlare! Infatti partono con “la zia col diabete” a cui hanno amputato il piede e tu che fai gli scongiuri davanti a queste prove di comprensione umana!!
Battute a parte, di Malattie Rare si parla ancora troppo poco, la disinformazione è tanta, e non sto parlando delle singole patologie che nemmeno tanti medici conoscono, ma occorre che la gente sappia che c’è pochissima ricerca perché le aziende farmaceutiche non investono né fondi né anni di lavoro per medicine che serviranno a pochi malati e che non porteranno a un riscontro economico. Lo Stato… beh, sappiamo tutti i problemi della nostra Sanità, del fatto che i ricercatori migliori vanno all’estero perché hanno laboratori attrezzati e stipendi migliori.
Tornando al tema iniziale, quello dell’essere “eroici”, io credo solo che siamo persone come tutti, e già considerarci questo sarebbe un grande passo avanti. La disabilità, la malattia non rendono migliori, anzi, a volte è talmente difficile accettare certe situazioni che si assumono degli atteggiamenti più crudi. Secondo me la malattia, la disabilità sono una grande prova e prevedono un adattamento alla realtà che, nel caso di patologie degenerative, è praticamente continuo, include tutta la famiglia, e non è detto che tutti siano pronti ad accettarlo. Il dolore tira fuori il meglio o il peggio, non fa sconti. O lo accetti e ti adegui oppure lo rinneghi e ti incattivisci.

Se ci sono “eroi” in queste storie, sono i papà e le mamme che accudiscono con amore e sacrifici continui il loro bambino, o i coniugi che si dedicano anima a corpo al proprio congiunto. Questi sono “eroi della storia”, quelli che portano un grande peso per scelta, perché tanti scappano, non tutti sono capaci di vivere a contatto con il male. Noi ci siamo ritrovati nella malattia, non l’abbiamo scelta, non abbiamo voluto diventare o nascere disabili. Ma chi ti ama e sceglie di restare al tuo fianco è un angelo che ha nascosto le ali, è un Angelo Invisibile.


“SIETE TROPPO LENTI, SPOSTATEVI” - Gino Nicolai –

SOLIDARIETA’

“SIETE TROPPO LENTI, SPOSTATEVI”
- Gino Nicolai –

Siete lenti, toglietevi che fate perdere il treno agli altri passeggeri.
Avrebbe detto il bigliettaio dalla stazione una del nord, da cui sono partiti.
È l’esperienza fatta da un gruppo di sette ragazzi (down) alla stazione di Conegliano, stesso alla stazione di Mestre. Gli altri passeggeri sono stati fatti passare e i giovani si sono dovuti mettere in coda alla fila, perdendo anche il treno.
L’addetto ai ticket si è spinto a dire addirittura oltre ad una accompagnatrice: “Ascolti me che ho più esperienza di lei, questi ragazzi non sono in grado di imparare. Se fate non li vate viaggiare, fate un favore alla comunità”.
Amareggiati se ne sono andati tutti insieme senza fare polemica.
“Noi Gruppo” pubblichiamo quest’articolo letto su “La Repubblica” del martedì 19 maggio 2015, e dichiariamo “Da noi in Sicilia ed ad Ucria, codesti atteggiamenti neanche li pensiamo”.

Dio creò tutti a sua somiglianza.


ANGELITA NEGRO - Gino Nicolai –

SOLIDARIETA’

ANGELITA NEGRO
- Gino Nicolai –

Canzone che Fausto Leali cantava, pregava Dio che con tanti angeli bianchi fa almeno “un angelo negro”, tutti i bimbi vanno in cielo anche se son solo negri.
PISA: ”Sei NEGRA e quindi non meriti il dieci, perciò non diventerai mai avvocato”. Sei bella ma sfortunatamente sei nata SPORCA, mica come me che sono di razza pura.
Cosi scrivevano alcuni compagni di scuola “diventerò avvocato”, rispondeva lei. L’obiettivo era una ragazza senegalese che prendeva ottimo voti.
Il razzismo è una cancredine che consola una minima parte dei connazionali.

Lottiamo perché non si divulghi questo infame pensiero. Il Gruppo Culturale Ucriese “Ranieri Nicolai” promuove incontri sociali a far si che l’uguaglianza sia un’idea comune.


LA VITA È UN ARCOBALENO DI COLORI - Antonina Maria Orifici -

LA VITA È UN ARCOBALENO DI COLORI 
 - Antonina Maria Orifici -

Vita é amore vita
è dono vita
 è dare un sorriso vita
 è un fiume che scorre vita
 è esistere.
La vita è un arcobaleno di colori,
colori tristi e allegri colori della vita
che incidono sull'animo umano,
vita che Iddio ci ha donato a ciascuno di noi
 e non è permesso a nessuno di torglierla mai e poi mai.
Dico a te  anche se sei disperato,
chiunque  tu sia uomo o donna,
vivi la vita,
giorno per giorno minuto per minuto,
attimo per attimo.


Pensieri di Alfredo Binda “e io li condivido la vita a 30anni  è un dono; a sessanta è una difesa, a settanta una conquista”.


UN UOMO E UN ESEMPIO: SAN RANIERI. - Valentina Faranda -

UN UOMO E UN ESEMPIO: SAN RANIERI.
- Valentina Faranda -
Giorno 17 giugno si è celebrata la ricorrenza di San Ranieri, patrono della città e dell’arcidiocesi di Pisa.
Nato dalla famiglia dalla borghese famiglia degli Scacceri nel 1116, trascorse la sua gioventù nell’agiatezza fino a quando, accogliendo il richiamo dell’eremita corso Alberto, cambiò vita. Si convertì al cattolicesimo, distribuì tutti i suoi averi ai poveri. Indossata la veste del penitente consegnata a tutti i pellegrini che si recavano al monte Calvario, la pilurica, trascorse un lungo periodo presso gli eremiti in Terra Santa, dove compì numerosi miracoli. Ritornò a Pisa nel 1154 e si ritirò a nel monastero di San Vito dove morì il 17 giugno del 1160.
Laico, come numerosi santi di quel secolo, Ranieri è ricordato dai pisani anche per l'abitudine di donare a chi gli si rivolgeva pane e acqua benedetti. Per tale ragione il canonico Benincasa, autore di una vita del santo, lo chiamava "San Ranieri dall'Acqua".
 San Ranieri è oggi considerato un esempio di cristianità, penitenza e preghiera, di attenzione ai poveri.
Rilassatevi e respirate perché non vi sto chiedendo di diventare santi o di comportarvi come se lo foste. Per me, che ho un rapporto strano con la chiesa e soprattutto una visione della cristianità molto personale, la sola idea di scrivere qualcosa su un santo e di parlare di religione o di chiesa e di condividerla è stata, all’inizio, un qualcosa di estremamente difficile. Poi ho capito che questo non vuole essere un articolo su come dobbiamo comportarci bene, non è un articolo su una sola persona che la Chiesa ha santificato né una predica su come dobbiamo essere dei buoni cristiani e non peccare. Non spetta a me fare un discorso di questo tipo.
William Golding, lo scrittore de Il Signore delle mosche, partiva da un’idea negativa sull’uomo, sosteneva che l’uomo ha un male dentro che solo le regole della società civile controllano. In sostanza se prendi un individuo e lo allontani dalla società civile a poco a poco questo si trasformerà in mostro. In realtà la cronaca di ogni giorno ci dice che non abbiamo bisogno di allontanarci dalla nostra realtà per comportarci da mostri. Ma nonostante quello che siamo abituati a sentire, non posso arrendermi a questa verità forse perché sono incapace di vedere il mondo per come è davvero o forse solo perché sarebbe troppo triste.
Da qualche altra parte ho sentito dire che dentro l’uomo esistono due lupi, uno che si nutre di rabbia, invidia e orgoglio, l’altro di sincerità, gentilezza e rispetto altrui. Nello scontro tra i due non vince il più forte, perché nessuno è più forte dell’altro. Vince chi scegliamo di nutrire.
San Ranieri è la prova che siamo noi a scegliere cosa essere per gli altri e per noi stessi. Siamo noi a scegliere quale lupo nutrire. Che siamo capaci di bene se scegliamo di farlo.
Ma San Ranieri è solo un santo e la sua vita è simile a quella di molti altri santi che noi nemmeno conosciamo o di cui abbiamo sentito parlare ma di cui non ci importa perché sono troppo distanti da noi nel tempo. Alcuni nemmeno li consideriamo perché il loro esempio è difficile da seguire. Chi sceglierebbe di sacrificare il proprio benessere per seguire un sentiero difficile, pericoloso e che sembra non portare a nulla? Nessuno.
Non è il solo sacrificio che voglio mettere in evidenza. San Ranieri per me è un monito perché ha creduto fortemente in qualcosa. Ha dedicato la sua vita a questo qualcosa. Ha scelto di seguire Dio, ha scelto di rinunciare all’agiatezza per dare ai poveri perché questo è quello che era. Ha scelto di cambiare la propria vita perché forse quella che stava vivendo non era la sua. Si parla tanto di sacrificio quando parliamo di santi. Sicuramente questi uomini non hanno avuto vite facili, ma nessuno parla mai del fatto che la loro è una scelta. Dietro tutta la loro sofferenza c’è una scelta. La scelta di seguire ciò in cui credevano. La scelta di nutrire un lupo piuttosto che un altro. In tutte quelle persone che si battono ogni giorno per ciò in cui credono c’è un po’ di San Ranieri. In tutte quelle che preferiscono lasciar correre piuttosto che serbare rancore. In tutte quelle che usano le mani per stringerle agli altri piuttosto che per sorreggere fucili. In tutti quelli che chiedono scusa piuttosto che non rivolgersi più la parola.
In tutte quelle persone come il ragazzo di cui questo gruppo porta il nome c’è un po’ di San Ranieri. Un ragazzo che io non conoscevo ma che sto imparando a conoscere dal racconto e dagli sguardi delle persone che l’hanno conosciuto. Il viso di quelli che gli sono stati accanto e l’hanno amato si illumina quando ne parlano.
Gandhi diceva “sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Tutti uomini che sono diventati grandi, alcuni per il mondo intero, altri per chi li ha conosciuti e per altri che, come me, imparano dal loro ricordo. Tutti uomini che hanno vissuto nella certezza che ogni singolo uomo, nel suo piccolo, può rendere il mondo nel modo in cui lo vede. Non è un’utopia. Perché il mondo non è altro che una miscela di sentimenti e un pizzico di natura. Siamo noi uomini a scegliere con quali sentimenti  lavorare.
In conclusione ripeto che il mio non è un invito a fare del bene. Non sono nessuno per dire come comportarci. Non è per questo che ho scritto. Questo articolo era una semplice riflessione che ho voluto condividere con voi.

Alla prossima.